Il Centro Don Chiavacci è una struttura diocesana che promuove e accoglie iniziative di formazione spirituale cristiana e culturale rivolto alla scoperta/salvaguardia della natura secondo le intuizioni del fondatore Don Paolo Chiavacci e offrendo la possibilità di soggiorni residenziali di educazione ambientale e percorsi in giornata grazie anche ad una casa e ad una casera adibite all’accoglienza di scolaresche.

Noi non siamo padroni, ma ospiti del nostro pianeta”

Questo è il messaggio che il Centro rivolge a quanti sono convinti che la sensibilità per l’ambiente debba essere un cardine dei nuovi programmi ed un obiettivo scolastico fondamentale, mirato a formare cittadini consapevoli e partecipi.

 

“Venite, ascoltate e vi racconterò, a voi tutti che temete Dio, quanto Egli ha fatto per l’anima mia”! La mia storia è la storia di un prete qualunque, sussurrata a saracinesche abbassate. ….

L’8 settembre 1943 il tenente Paolo Chiavacci scioglie “la sua sezione” (come lui la chiama): è in Francia e consiglia ai suoi Alpini di non arrendersi ai tedeschi ma di ritornare alle loro case. Lui si nasconde prima in un castello a Parigi dove trova un Crocefisso di avorio, il 7 ottobre arriva a Crespano, si nasconde nelle casere del Grappa non solo per non essere fatto prigioniero dai tedeschi e quindi mandato in un campo di concentramento in Germania , ma soprattutto perché stava riflettendo sull’orientamento da dare alla sua vita.

Ciò che fece riflettere Paolo lo racconta nei suoi diari ” maciullato da una granata, ai piedi di una roccia, con nel corpo ancor vivo l’ultimo spasimo della istantanea morte, stava un Greco e presso di lui, a soli due passi ancora aperto un libretto, tutto intriso del suo sangue con il titolo ” sulla vanità”….Al momento non ci feci caso…ci ripensai poi…” e scrive ancora “E lassù ho imparato ad amare…”

E’ così che Dio cercò Paolo, e Paolo si lasciò trovare. Con il suo generosissimo entusiasmo, Paolo gli spalancò la porta della sua vita e (scrive nel diario)”Dio mi prese per il bavaro e mi costrinse a pensare. A volte si faceva violenta la tentazione di lasciarmi andare. Ma Lui, nel Suo amore per me, mi venne incontro e vinse con un miracolo della Sua Grazia”. Dopo 2 mesi di ritiro nel Grappa il 3 dicembre 1943 entra in seminario a TV.

Al 3° anno il 30 novembre 1946 viene consacrato sacerdote. Subito è mandato a Dosson nelle caserme dov’erano alloggiati i senzatetto e senza di tutto anche se, agli occhi di don Paolo, ricchi di tanto. Lui confessava che Dosson era stato il suo vero “seminario”, nella radice più autentica della parola.

Intanto il progetto che ha nel cuore si fa avanti, sempre più forte: suo padre a Crespano, sotto il Monte Grappa, ha un angolo di paradiso: una casera con dei prati adibiti a pascolo. Scrive nei suoi diari:” Io sono pellegrino d’un paese lontano lontano che va cercando pace. So che tu cerchi pace e vieni anche tu da lontano. Scaldiamoci vicini al fuoco della Vita. Ti racconterò la mia storia. Io ero il mendico che elemosinava la Verità. Ora sono ricco e voglio far parte con te dei miei sublimi tesori. Ascoltami. Ho cercato lassù nelle stelle la verità, l’ho inseguita nel più profondo del mare, l’ho sospirata nei viaggi solitari dell’anima. Non ho trovato che il buio. Ed ella era appresso a me sempre e dovunque. Su nelle stelle, giù negli abissi, nella mia anima e nel mio cuore. “Io sono la Via, la Verità, la Vita!” Fu in una notte di stelle e me lo disse Lui…..”

Il progetto lo confidò al suo “superamico” Capitano degli Alpini Mario Sartor il quale come lui era reduce della guerra: trasformare la casa di vacanza della famiglia, che prima li avevi visti bimbi felici, poi era divenuta prigione dei fascisti e dopo dei partigiani, in un’oasi di pace per chi cerca la Verità, per chi cerca la pace, per chi cerca Dio. Non faceva spesso discorsi su Dio, ma coglieva la Sua voce e i segni della Sua presenza e del Suo amore in tutte le fibre dello spirito, in tutte le opere umane, in tutte le realtà della Creazione.

Mario capì il progetto. Anche altre persone accolsero il progetto molto ambizioso, che aveva questo umile prete, vestito come un manovale di seconda “manovale del buon Dio” usava definirsi. Ecco un plotone di Alpini con il loro comandante Mario Sartor venire presso la Casa ad aiutare, a sistemare, ad aggiustare, a costruire, a fare. In altri ambienti Don Paolo era considerato un prete un po’ strano che si era buttato a fare un qualcosa di troppo grande che non avrebbe avuto futuro. Negli anni ’70 una svolta: altre grandi amicizie si fecero avanti: l’astronomo Romano Giuliano di Treviso cominciò a tenere corsi di astronomia, poi il Botanico Paoletti Giovanni portava le persone nei prati a vedere la bellezza e la grandezza di Dio nei fiori e Carraro Francesco dell’università di Torino spiegava la storia delle rocce e ciò che si può leggere in un comune sasso e..e…

Ecco che nel 1972 ci fu la grande svolta: cominciarono i “Corsi Incontri con la Natura”. Don Paolo amava Dio e le sue creature con una forza sovrumana, constatando che con gli Esercizi spirituali la Casa non poteva e non riusciva sopravvivere, lanciò l’idea di fare gli Esercizi spirituali in modo originale, attraverso le stelle, i fiori, i sassi, gli animali, parlare di Dio per poter avvicinare l’uomo, il credente e il non credente a Dio e al suo grande amore. Così mandò a tutti i presidi una lettera (che vi consegneremo) dove invita gli insegnanti a far guardare i bambini. I bambini devono imparare a guardare. “…che si guardino attorno: la poesia del silenzio, le vibrazioni del gelo sul filo del telefono, la farfalla, il rospo, l’ape…..” Si cominciarono invitare scuole e veniva servita una guida gratuita per alcune prime lezioni, perfino offrivano i pranzi gratuiti purché ci fosse questa svolta, la Casa, soprattutto il luogo dove era ubicata doveva dare questa possibilità a tanta gente. Don Paolo Acquistò un telescopio, vendendo parte del terreno davanti alla Casera, chiamò esperti famosi, acquistò strumenti delicati per poter guardare la polvere della luna portata dal più importante geologo del momento Piero Leonardi. Così si doveva capire quanto è grande Dio e quanto grande è il suo amore per noi. Don Paolo inoltre era chiamato a “dettare” gli Esercizi nelle Case di Spiritualità d’Italia, dalla Sicilia al Piemonte: era conosciuta la sua abilità di oratore e di rendere semplice il suo pensiero. La Casa andava avanti fra alti e bassi fra debiti e salti nel buio. I Compagni di seminario, amici fedeli, lo incoraggiano, lo spronavano. Altri amici si aggiungevano soprattutto persone semplici ch e in qualche modo aiutavano anche se c’era qualche dubbio; gli Alpini invece non tentennavano, crescevano costanti. “La grande Speranza” di don Paolo stava prendendo fisionomia, dopo 40 anni di sofferenze, di incertezze, di grande lavoro, di tante domande.

Il 5 Aprile 1982 tornando da scuola alle 13,15 lo trovai morente sotto il corniolo fiorito vicino alla Casera dove viveva. Dopo un primo momento di disperazione e di panico fui colta da una certezza: la Sua Opera doveva andare avanti a qualsiasi costo malgrado la sua morte, perché altrimenti lui sarebbe morto per la seconda volta e con lui sarebbero stati traditi tutti coloro che l’avevano aiutato, sorretto, spronato e condiviso il grande Progetto La grande Speranza. Pochi giorni prima l’avevo costretto a farsi fare una iniezione di antitetanica perché si era ferito e vedendo la sua ritrosità a medicarsi gli chiesi in modo provocatorio “ma don Paolo se muore cosa succede?” lui candidamente mi rispose: “Sarà Dio a decidere, non siamo noi”. Subito dopo la sua morte arrivarono i suoi amici a frotte, volevano rendersi utili. Don Giovanni Scavezzon, che era stato designato dallo stesso don Paolo suo esecutore testamentario, fu nominato Direttore della Casa da Mons. Guarnier, allora Vicario Generale come il defunto in uno scritto aveva espresso il desiderio. Il Vescovo Mistrorigo accettò la donazione della Casa che i fratelli Chiavacci fecero alla Diocesi purché continuasse la sua Opera. Don Giovanni seppe subito diventare amico degli amici di don Paolo. Anime generose offrivano gratuitamente il proprio lavoro, furono mandate offerte, materiali edili, mobilia, cancellati debiti o prestiti. Gli Alpini di S. Gaetano di Montebelluna, Coste, Maser, Crespignaga, Madonna della Salute, Caerano, cominciarono dedicare un giorno della settimana di lavoro gratuito. Uno alla volta i sogni di don Paolo, anche i più bei sogni che sembravano irrealizzabili, diventarono realtà: Cappella, stanze da letto con bagno, cucina a norma, ascensore, sala da pranzo e poi…il planetario, l’ osservatorio, aule studio. Tanto fervore consentì di mantenere fede alle aspettative di don Paolo. Egli infatti voleva che la sua Casa fosse luogo dove ci si incontra con Dio; dove trovassero accoglienza i più bisognosi, i diversamente abili, gli anziani, dove ci si incontra con il Creato. Tre finalità, per don Paolo e per i suoi amici che non si possono disgiungere, anche se l’incontro don Dio doveva essere il motore trainante.

Alla fine degli anni ’80 venendo incontro alle esigenze . sorte dalle tante attività che si erano sviluppate , Mons. Magnani decise di utilizzare la Casa di don Paolo per realizzare il Centro di Spiritualità della Diocesi, sostituendo don Giovanni con don Antonio, e confermando le attività precedenti. Il resto è storia attuale.

L’unica cosa che mi dispiace è che non tutti coloro che frequentano la Casa sanno cogliere la sua originalità forse perché non conoscono la storia, perché non sanno che don Paolo partiva da Dio e voleva arrivare a Dio, voleva “gridare” a tutti che Dio è grande e voleva che tutti godessero della amorosissima presenza di Dio. Spesso, se occorreva parlare ai non credenti, non nominava la parola “Dio”, ma lo faceva con un fiore, con un sasso, con una stella perché fiori, sassi, stelle parlano di Dio che è amore: questa era la meta da additare a tutti.

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